Nel cuore delle isole del Pacifico del sud con Maewan

A bordo di Maewan, Erwan Le Lann e il suo equipaggio si avventurano nei luoghi più estremi del pianeta, dall’Artico all’Antartico, osservando l’impatto dell’uomo sul suo ambiente.

La piccola barca a vela, piattaforma operativa nomade, è il supporto di azioni educative e ambientali alle quali partecipano sportivi di alto livello. Al ritmo del vento, il capitano ci racconta l’ultima traversata, tra la Polinesia e il Cile, alla scoperta di terre quasi inesplorate e degli abitanti del Pacifico del sud.

Salpiamo dalla baia di Cook, a Moorea. È una di quelle isole paradisiache della Polinesia francese, vicina a Tahiti. Le palme da cocco costeggiano le baie interne, protette dalla barriera corallina, dove convivono squali, razze, tartarughe e pesci. Il sole ci abbronza la pelle e brilla nei nostri occhi. Approfittiamo dell’istante, la nostra sosta nelle “isole del Vento” finisce. È ora di ripartire, più lontano, di continuare quest’avventura di scoperte che ci anima da già cinque anni. Oggi facciamo rotta verso il Cile e i canali della Patagonia. Una lunga navigazione di tre mesi, dove le isole si fanno rare.

Siamo in quattro a bordo di Maewan: Fabienne d’Ortoli, Jérémy Bernard, Joseph Grierson e io. Fabienne è kitesurfer, più volte campionessa del mondo. Jérémy Bernard è fotografo sportivo e rende ogni foto un’opera d’arte. Joseph Grierson è il nostro giovane mozzo, il marinaio ideale.

Questa nuova spedizione, che conclude il nostro anno 2019, ci porta alla scoperta di isole tra le più isolate del mondo: Rapa Iti, isole Pitcairn, Isla de Pascua e Juan Fernández. Fuori dalle rotte marittime, alcune non sono mai state abitate. Rari sono i battelli che vi fanno scalo.

RAPA ITI

La “piccola Rapa” è la prima sulla nostra rotta. È l’isola più australe della Polinesia. La prossima terra più a sud è l’Antartide, a est il Cile, a ovest la Nuova Zelanda. Qui, i contatti con il mondo esterno sono rari. Solo una barca fa scalo ogni due mesi.

Dopo aver aggirato l’isola dal sud, entriamo nella baia interna al calare della notte. Le luci del porto ci guidano fino al nostro arrivo al pontile. Pensavamo di essere attesi dalla direttrice della scuola. È in realtà tutto il villaggio ad accoglierci: canti, danze e pasto tradizionale, una bella sorpresa dopo otto giorni di mare!

Durante il nostro soggiorno sull’isola, andremo a proteggere piante endemiche, capre selvatiche, a raccogliere frutti e soprattutto a condividere i nostri racconti intorno al mondo con i bambini della scuola e con tutta la popolazione. Una sera, durante una riunione del villaggio, nasce una discussione sulla gestione delle risorse naturali. Il sindaco ci spiega che qui ogni risorsa è un bene comunitario, di cui i quattordici saggi dell’isola discutono insieme l’utilizzo, il prelievo o la conservazione. La pesca e l’agricoltura sono praticate in modo ragionato per nutrire una popolazione concentrata attorno alla laguna. Le grandi vallate verdi sono riservate ai futuri rifugiati climatici delle isole Tuamotu, presto sommerse dall’innalzamento delle acque... Scopriamo un popolo rivolto verso il futuro, che opera in modo sostenibile per le generazioni future.

Ripartiamo una settimana dopo, con collane attorno al collo e la barca piena di pesci e banane. Nella scia di Maewan, Rapa Iti scompare all’orizzonte. Rotta verso le isole Pitcairn.

ISOLE PITCAIRN

A bordo, la vita si organizza. Le manovre si susseguono. I giorni passano, sembrano lunghi. Risaliamo un po’ verso nord in direzione delle isole Pitcairn. Un’avaria alla ruota del timone ci spinge infine a fare una sosta ad Adamstown, l’unica isola abitata dell’arcipelago, popolata da 46 anime. Un’isola piena di leggende. Siamo accolti da una coppia di pirati. La chiesa avventista troneggia al centro del villaggio, come l’ancora della HMS Bounty, una fregata della Royal Navy britannica, entrata nella storia per il suo ammutinamento.

Le condizioni meteorologiche ci impongono uno scalo più lungo del previsto. Dobbiamo cambiare ancoraggio per ripararci meglio. Piove, il cielo è basso, è un buon segno di cambiamento del tempo.

Quattro piccole isole formano questo arcipelago di Pitcairn, tra cui Ducie. È la più lontana, la più piccola, mai abitata. È un atollo desertico, senza acqua dolce, un’isola vergine del Pacifico. La nostra possibilità di poter sbarcare lì è quasi nulla. L’atollo è rotondo e non offre alcuna protezione per ancorare Maewan, ma siamo troppo curiosi per non andare a vederla.

Dopo due giorni di navigazione, ci avviciniamo a Ducie. È lì, davanti a noi, a meno di dieci miglia nautiche, eppure non la vediamo ancora! Deve essere piatta come un atollo senza palme da cocco. Ma i segni di un’isola vicina non ingannano: migliaia di uccelli volano sopra le nostre teste, osservando questi stranieri che siamo. Fregate, sule brune, petrelli, l’isola è un regno per uccelli. Finiamo per distinguerla. Per miracolo, il tempo è perfettamente calmo. In un’acqua trasparente come mai prima, dove si contemplano coralli e pesci, gettiamo l’ancora su una piccola pianura di sabbia bianca. Fabienne salta in acqua, molto presto circondata da pesci magnifici e curiosi. Un paesaggio da cartolina...

Una volta a terra, zigzaghiamo con cautela tra gli uccellini che nidificano direttamente sul suolo. Poi, dietro la vegetazione, scopriamo la laguna. L’acqua è turchese. Muri di antichi coralli formano un gigantesco e sontuoso labirinto. Un luogo intatto e preservato, ci diciamo... Eppure, a più di 5000 chilometri dalle coste peruviane, questo paradiso terrestre ci interroga: “Perché sono interamente ricoperto dei vostri rifiuti? Cosa devo fare dei vostri rasoi, spazzolini da denti, scarpe, bottiglie, boe e altri sacchetti di plastica?” Restiamo senza parole, pieni di amarezza. Un sentimento che pochi deliziosi pesci alla griglia, gustati dopo una pulizia della spiaggia, faticano a cancellare. Dobbiamo comunque riprendere il mare. Ci aspetta un’altra tappa di due settimane per raggiungere Rapa Nui, l’isola di Pasqua.

ISOLA DI PASQUA

Tre giorni di venti contrari ci ritardano un po’. Per Fabienne, il mal di mare è tenace. Allora scruta l’orizzonte, prende il timone per lunghe ore e finisce per crollare nel letto, esausta, nell’unica posizione accettabile per lei a bordo: sdraiata.

I file meteo annunciano l’arrivo di una grossa burrasca dal sud dell’isola di Pasqua. Forziamo l’andatura per precederla e poterci riparare. Sul ponte osserviamo il minimo dettaglio che ci darà le prime chiavi di comprensione della vita che si è stabilita qui. Il luogo è mitico, circondato da storie e misteri. La nostra eccitazione cresce.

Puntiamo a sud, molto vicino a un isolotto roccioso, dove la grossa onda ci permette qualche bel surf. A terra ci aspettano Marion Courtois, presidente dell’associazione Maewan, e Morgan Le Lann, la nostra addetta stampa. Insistono affinché i doganieri cileni vengano a fare il loro lavoro a bordo. Solo che la tempesta lo impedisce. Passeranno tre giorni interminabili prima che ci autorizzino finalmente a mettere piede a terra!

Sbarchiamo sull’unica spiaggia di sabbia bianca e fine, ad Anakena. Una fila di Moai, statue monumentali scolpite nella roccia vulcanica, ha lo sguardo rivolto verso il villaggio. La più grande misura 19 metri d’altezza! Sono state erette affinché il “Mana” (lo spirito) dei saggi accompagnasse le generazioni future. Per 900 anni, centinaia di Moai sono stati scolpiti per proteggere gli abitanti dell’isola. Un tempo sovrappopolata, preda di guerre tra clan e colpita da malattie importate dagli europei, la sua popolazione fu quasi ridotta a nulla alla fine del XIX secolo. Oggi sono più di 7.000 i pasquani, difensori di un patrimonio culturale.

Da questa affascinante storia che ci racconta Keka, la nostra ospite durante la nostra settimana sull’isola, scopriamo anche l’esistenza di un turismo di massa, alimentato da due a quattro aerei giornalieri. Attirati dai Moai, i 100.000 visitatori annuali non si trattengono in genere più di tre giorni, ma l’impatto della loro presenza è reale e preoccupante. Le riserve di pesce si esauriscono, i rifiuti si accumulano, le colture scompaiono e i 4x4 hanno sostituito i cavalli che vagano liberi, presto troppo numerosi. L’isola di Pasqua ha perso la sua autonomia, l’acqua potabile viene importata dal Cile, e la vita qui non tiene più che a un filo, quello del ponte aereo. In perfusione, l’isola vede riaffiorare il suo triste passato. La storia sembra ripetersi ma la presa di coscienza degli abitanti accelera. Il destino dell’isola è oggi nelle loro mani...

È qui che la spedizione si conclude per Fabienne, Jérémy e Morgan. Con Marion e Joseph, imbarchiamo per l’ultima parte di questa lunga traversata del Pacifico del sud.

JUAN FERNÁNDEZ

Sulla nostra rotta, scopriamo una piccola isola sulla carta: Robinson Crusoe! Decidiamo di deviare per visitarla. Dopo diversi giorni di navigazione, si delinea all’orizzonte, alta come raramente. Il moto ondoso da sud-ovest ci spinge a trovare un riparo sulla costa est. Una foca ci saluta! L’avvicinamento è lungo, il vento assente. Al passaggio della punta nord, appare una luce. Sulla carta è indicata una boa, a meno che non sia un faro. In perfetto spagnolo, Marion tenta una comunicazione via radio. La risposta arriva subito, l’isola è abitata! Alla cieca, gettiamo l’ancora per la notte.

La mattina dopo, scopriamo una comunità di pescatori di aragoste che vive lì otto mesi all’anno, in autosufficienza. L’isola, sulla quale visse il celebre naufrago scozzese Alexander Selkirk nella più assoluta solitudine all’inizio del XVIII secolo, sembra inospitale ma è ricca di vita marina. Marion passa due giorni con la maestra e la sua manciata di scolari. Gli scambi sono appassionanti, ma curiosamente Robinson Crusoe, unica isola abitata dell’arcipelago Juan Fernández, ci sembra un po’ troppo civilizzata… E la tempesta che arriva ci spinge a levare l’ancora per il nostro ultimo viaggio verso Puerto Montt e il continente.

Decidiamo di fare rotta pieno sud, verso il cuore della depressione, spingendo Maewan ai suoi limiti. Un bel riscaldamento prima del grande sud e delle sue latitudini ostili! Siamo “viziati”: i cavalloni sono enormi, i venti soffiano a quasi 50 nodi, le onde si infrangono sul ponte… Ci diamo il cambio al timone. Il rumore permanente ci tiene svegli ma la stanchezza comincia a farsi sentire. Fortunatamente, dopo tre giorni intensi, il vento cala. Il Cile è davanti a noi. Una pagina dell’avventura Maewan si gira. Un’altra resta da scrivere…

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